Review – Arturo Brachetti in “Solo”
Il nuovo One Man Show di e con Arturo Brachetti: Solo
(CENTRAL PALC – 09/02/2018 – ILARIA FARAONI)
Dopo aver debuttato a Parigi è arrivato al Teatro Sistina di Roma (dove rimarrà fino al 18 febbraio), il nuovo One Man Show di e con Arturo Brachetti: SOLO.
E ci sarà un motivo se dopo tanti anni, assistendo ad uno spettacolo di Brachetti, trasformista per eccellenza, lo stupore è intatto e la domanda che sale sulle labbra è sempre la stessa «Ma come fa?». Gli applausi a scena aperta sono fioccati numerosi, la sera della prima (7 febbraio).
Non per niente, infatti, l’artista è stato inserito nel Guinness dei primati come il più prolifico e veloce trasformista al mondo e al suo attivo ha anche un premio Molière (il corrispondente francese del Tony Award), un Laurence Olivier Award, ed è stato nominato Cavaliere delle Arti e del Lavoro dal Ministro della Cultura francese e Commendatore dall’ex Presidente Napolitano.
Ma non c’è solo l’arte del quick change, in SOLO: c’è l’altrettanto sorprendente chapeaugraphie, la tecnica con la quale Brachetti riesce a trasformare una sorta di falda di cappello bucata al centro – «Devi riempire il buco con la fantasia», gli avrebbe detto il nonno – in 25 diversi copricapi ed altrettanti personaggi: basta ogni volta piegare il tessuto con un paio di gesti.
E ancora c’è l’arte del creare veri e propri quadri con la sabbia (sand painting), ci sono le ombre cinesi, c’è l’uso del laser di ultima tecnologia – che l’artista ci aveva già presentato nello spettacolo Brachetti che sorpresa – che crea incredibili atmosfere fantascientifiche alla Matrix o alla Tron. L’impiego del laser però da solo non basterebbe se non ci fosse la maestria straordinaria di Brachetti, di Kevin Michael Moore (la dispettosa ombra umana di “peterpanesca” memoria che lo accompagna nella storia) e di tutto il comparto tecnico, che riescono a coordinarsi alla perfezione nell’interazione uomo/laser, ottenendo risultati molto realistici e di grande effetto visivo, volo compreso.
Ci sono poi il sogno e la magia (nel senso più vasto del termine) che permeano tutto lo spettacolo, trasportando gli spettatori in un mondo sospeso, a sé, quello personale di Brachetti, che ha legato i vari momenti dello show (che starebbero in piedi anche separatamente) attraverso l’idea centrale della casa in miniatura portata sulla scena, quella «dei miei ricordi, dei miei sogni, delle mie paure», come spiega l’artista al pubblico dal palco.
Con una mini telecamera che proietta le immagini direttamente su schermo, si entra nelle varie stanze (sette in totale) e attraverso oggetti simbolo, che torneranno poi alla fine dello spettacolo, lo showman ci accompagna in un viaggio che rievoca i personaggi delle serie televisive più note, dei cartoni Disney e i cantanti internazionali più famosi.
L’uso del videomapping, che integra immagini animate e scenografia, permettendo a Brachetti di entrare direttamente nelle pagine di un libro di favole o di volare molto realisticamente sul tappeto di Aladin per le strade di una immaginaria Agrabah (leggere qui una curiosità), è studiato alla perfezione, così come lo sono le luci, che permettono determinati effetti spettacolari e poetici.
Si potrebbe ancora parlare dei riferimenti colti come i quadri di Magritte, Monet o Van Gogh associati alle quattro stagioni o del tema (molto caro all’artista) della crescita: Brachetti infatti rivendica la sua volontà di non invecchiare, di seguitare a volare, di coltivare la fantasia e l’immaginazione, desideri che generano il contrasto, prima soltanto verbale, poi fisico, tra lui e la sua ombra. E ancora si potrebbe ricordare la poesia che c’è dentro tanti quadri visivi proposti dallo spettacolo. Con tutti gli elementi appena elencati stridono però alcuni momenti piccanti e di altro registro come le gesta rivisitate di Biancaneve o il quadro che si svolge in una cucina durante un matrimonio. Di questi pezzi si potrebbe fare a meno e lo spettacolo non perderebbe niente, anzi: forse ne acquisterebbe, anche perché ci sono altri momenti di ironia e di divertimento più efficaci.
Meglio così rimanere alla tenera e malinconica scena del ballo di Arturo con il ricordo dell’abito a fiori che si era cucita la mamma, abito che prende vita volando letteralmente durante la danza.
Per l’ennesima volta, dunque, c’è di mezzo il volo, che in questo spettacolo è declinato in vari modi, rimanendo così al centro di tutto l’atto unico, di 90 minuti. Come pensare dunque a Brachetti senza associarlo, visto anche il tema centrale di SOLO, a Peter Pan, di cui non solo veste i panni in scena, ma del quale è anche una sorta di “papà italiano”, visto che il musical omonimo, diretto da Colombi, nacque nel 2006 proprio sotto la direzione artistica di Brachetti che vi ha lasciato la sua firma molto chiara, soprattutto se si hanno certe immagini di SOLO appena stampate negli occhi?